Filippo Minelli – Cose che ho fatto mentre non servivo nell’esercito

Tutto quello che ho fatto mentre non servivo nell’esercito è un’installazione che sin dal titolo rimanda subito ad una precisa dichiarazione d’intenti: ribaltare il concetto cardine del festival e portarci in un altrove fatto di allusioni e suggestioni provocatorie. Un ribaltamento che solo a prima vista è “fuori luogo” e che invece vuole riflettere sul tema della mostra attraverso la sua assenza, un contrappunto dissonante che mostra i negativi dell’immaginario legato a questo luogo. Dentro a una spiaggia dai confini ben definiti, attraverso delle fotografie prese dal suo archivio, l’artista ci mostra con graffiante ironia dettagli di luoghi lontani, momenti di vita e accenni di esperienze personali che si ergono da contraltare rispetto al passato della caserma, alla sua funzione e a ciò che rappresentava. A completare questa operazione si aggiungono ulteriori suggestioni opache fornite dalle parole apparentemente sconnesse tra loro presenti nei manifesti affissi nella stanza  che ci riportano, attraverso  un’estetica che richiama la grafica degli albori di internet, all’immaginario virtuale legato ad un’ altro altrove sempre presente, quello della rete.

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Everything I did while I wasn’t serving in the army is an installation that from its very title sends a clear message of intent: tto ip the concept of the festival on its head and bring us to an elsewhere made of allusions and provocative themes. A reversal that while, at first glance, seems out of place, instead wishes to reflect on the festival’s themes through its absence, creating a dissident counterpoint that shows adverse imagery tied to this place. In a beach with clearly defined boundaries, with biting irony the artist exhibits, using photographs taken from his archives, details of far away places, life moments, and glimpses of personal experiences that stand as a counterpoint to the barracks’ past, its function, and what it represented. Seemingly disconnected, opaque words, seen on posters hung in the room, complete the mission by adding further influences and, through an aesthetic that recalls the early days of the internet, bring us back to virtual imagery tied to another omnipresent elsewhere – the one found online.