2016

Vlady

Oggi più che mai gli artisti, i curatori, i galleristi e gli operatori culturali in genere, devono cambiare registro. E’ finito (anche se qualcuno ancora non l’ha capito) il tempo del LIONS dell’Arte Contemporanea, delle white cube, degli ingressi vip alle fiere d’arte contemporanea, delle quotazioni stellari, dell’estetica per l’estetica, della partecipazione finalizzata all’appartenenza. In questa epoca di nefandezze diffuse, continue violazioni di diritti umani, guerre, terrorismo, decapitazioni, viaggi della speranza e perdite di vite umane, ognuno di noi è stato “sporcato”. Apprendiamo continuamente di tragedie dai telegiornali e metabolizziamo tutto continuando a mangiare, come se le informazioni che ci passano appartenessero alla finzione. Questa dimensione di sofferenza globale purtroppo non preclude l’esistenza di un malessere locale, fatto di emarginazione, povertà e ignoranza da una parte ma anche di arroganza, clientelismo e spreco. Spreco di risorse economiche ma anche di talenti e territori, senza identità e futuro. Vlady ha capito il momento; ha accettato la sfida e ha assunto le sue responsabilità. Mette in discussione l’ordine precostituito, denuncia, fa riflettere, apre gli occhi, capovolge la realtà, sposta il senso della percezione, ti mette nella condizione di porti delle domande. Nella sua ricerca artistica non si sottrae alla militanza territoriale; non si tira mai indietro nelle sfide di prossimità; nelle provincie dimenticate o nelle periferie abbandonate, in mezzo alla gente, a piccole comunità resilienti, per portare la bellezza dove non esiste e il pensiero a chi è stato privato della capacità di produrlo. L’opera presentata da Vlady è frutto dello scambio tra Outdoor Roma e il Farm cultural Park di Favara (AG) e riguarda i nostri confini quotidiani, intesi come limiti fisici e mentali. Il grande labirinto vuole essere la metafora del percorso obbligato, di una libertà coatta, vigilata. Liberi, nei termini e nelle condizioni imposteci. Intorno, una decina di frasi decontestualizzate (dai computer ai muri) alludono all’UE e alla nostra società contemporanea. La bandiera forata è simbolo di rivoluzione. È metafora dell’Europa imperfetta, incompiuta, permeabile, privata, oltraggiata. Non sono offerte facili, uniche chiave di lettura, né risposte: varco d’ingresso, di uscita oppure un invito ad andare oltre.

A cura di Farm Cultural Park

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Now more than ever, artists, curators, gallery owners and cultural operators in general, have to change register. It’s over (even if not everyone has understood). The era of the contemporary art LIONS, the white cubes, the VIP entrances to contemporary art fairs, the astronomical prices, the aesthetics for aesthetics, the participation aimed at membership. In this era of widespread atrocities, continued human rights violations, war, terrorism, beheadings, journeys of hope and loss of life, each of us has been “sullied.” We are constantly learning of tragedies in the news and metabolize everything, continuing to eat as if the information we receive is fiction. This size of global suffering unfortunately does not preclude the existence of local malaise, created, on the one hand, from marginalization, poverty and ignorance but also from arrogance, cronyism and waste. Not only waste of economic resources, but also of talents and territories, without identity and future. Vlady has understood this moment; he has accepted the challenge and has taken his responsibilities. He challenges the established order, complains, reflects, opens his eyes, turns to reality, moves his sense of perception, and puts you in the conditions to make you question things. In his artistic research he doesn’t hold back from territorial militancy and doesn’t ever shy away from the next challenge. He movies in the forgotten provinces or abandoned peripheries, in the middle of people, in small resilient communities, in order to bring beauty where it doesn’t exist and where there is no thought about who has been deprived of the ability to produce it. The work presented by Vlady is the result of the exchange between Outdoor Rome and the Cultural Farm Cultural Park in Favara (AG). It deals with our daily borders, taken as physical and mental limits. The large maze is intended as a metaphor of the fixed course, a compulsory freedom, a probation. Free, under the terms and conditions imposed on us. All around, a dozen decontextualized sentences (from computers to walls) allude to the EU and to our contemporary society. The holed out flag is a symbol of revolution. It’s a metaphor for an imperfect Europe—unfinished, permeable, private, outraged. They are not easy offerings, nor answers, but keys to understanding: entrance gate, exit, or an invitation to go further.

Curated by Farm Cultural Park

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